Ansa News

venerdì 26 febbraio 2010

SESTA MARCONI - Where The Devil Dances


Primo full-length (dopo 1 demo e 1 EP) per il quartetto molisano. Non vogliamo enfatizzare eccessivamente la prova tecnico-stilistica dei ragazzi originari di Campobasso, ma questa fatica merita almeno un ascolto. Le sette tracks scorrono via con una fluidità imbarazzante non registrando cali d’attenzione. Il pezzo d’apertura “Gruesome Woe” incuriosirà l’ascoltatore: ritmi lenti e decadenti ma anche interessanti e sorprendenti frangenti acid-jazz e rockeggianti. Un certo fascino ritmico anche per “Skeleton Party”, traccia che si dipana tra le sonorità del “classic metal” e quelle del “power” per giungere fino ai riff in stile noise (i Sonic Youth hanno fatto scuola) e chiusura ai limiti del “piano bar”. D’ispirazione prettamente doom (alla Candlemass), invece, il terzo brano dal titolo “LSWD”. L’inganno, però, è dietro l’angolo, perché in corso d’opera è marcata la ripresa di ritmo verso sonorità rock alternate a parti più lente. Chiudete gli occhi e spalancate le orecchie per godervi “Rock and Roll Voodoo Style”: un concentrato di musica che sintetizza un’ammiccante fusion di generi dagli anni settanta ai giorni nostri. Sperimentazioni ambient e industrial per “At The Crack Of Dawn”, ma le sorprese sono sempre dietro l’angolo e da parte nostra non vogliamo svelarvi tutto. Intro dark ambient per la sinistra e claustrofobica (oltre che lunghissima) “Vanitas”, traccia che ci consegna un sound alla Cathedral. Però “l’inganno”, anzi la virata, avviene puntuale a metà canzone cedendo il passo a sonorità meno ostiche e più “commerciali”. Voci di sirene ed atmosfere sognanti per la bluseggiante “Blasted in Summertime” . Una spruzzata di country poi completa l’opera. Il lavoro nel complesso risulta estremamente vario e completo, per questo sarebbe limitativo etichettare una band dalle grandi potenzialità compositive ed espressive, magari rinchiudendola in un sottogenere. L’album è fruibile a tutti, soprattutto a coloro i quali ritengono che il metal del Bel Paese non abbia nulla da esprimere. Il pensierino finale (e patriottico) non può che sfociare in un “bravi ragazzi, continuate così”. Nota a margine. Peccato per il nome del gruppo, troppo italiano per essere esportabile. La generalizzata voglia di esterofilia ci avrebbe fatto gridare al piccolo capolavoro, se solo questi musicisti avessero utilizzato un nome anglosassone. Stranezze.

Voto: 9,5/10

Enrico Losito

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