Dopo sei anni piove di nuovo cenere e i corvi riprendono a volare! Ritornano i Sol Invictus di Tony Wakeford, colui dalle idee sempre apocalittiche, oscure, neofolk, dark e marziali. "The Cruellest Month" è un lavoro decadente, ma con flebili sfumature nei pezzi. In sostanza è un album statico e che ripete gli schemi tipici dei Sol Invictus. Attraversare con i sensi questo album significa volersi estraniare, proiettarsi in un mondo semi fantastico ma ubicato in lande desolate e battute dal vento. "The Cruellest Month" probabilmente nasce da una profonda riflessione, sono passati pur sempre sei anni; infatti lo stesso Wakeford dichiara che l’album medita sull’invecchiamento e il declino degli individui, gli imperi e gli stati. Tredici inni imperniati sul ritmare della chitarra acustica, sintetizzatori come tappeti, fiati, percussioni scandite e la voce di Wakeford a celebrare questi inni a metà tra il dark-new wave e il folk. I Sol Invictus provano così a chiarire la questione se “ la crudeltà della vita è semplicemente un riflesso della crudeltà di dio o se siamo semplicemente crudeli per amore della crudeltà”: la conclusione di Wakefrod è che “si tratta di una utopica zona franca”. Certamente occorre un po’ di buona volontà per entrare nell’ottica polverosa di "The Cruellest Month", le melodie sono palesi ma non sempre riescono a balzare ad un livello massimo come capita con “To Kill All Kings”, che monta verso l’apocalisse, come del resto fa “Fool’s Ship” o la versione di “The Blackleg Miner” un classico del folk. L’album ha tanto da dire, ma non lo fa con parole nuove, cosa che non deluderà gli appassionati.
Voto: 7/10
Alberto Vitale
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